Non so se il riso o la pietà prevale
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William Domenichini  

Non so se il riso o pietà prevale

Mi perdonerà l’illuminante poeta di Recanati, ma a suon di numeri, arrivati all’annuncio di 1 miliardo, non so se il riso o la pietà prevale. Tuttavia tra citazioni letterarie e tagli di nastri, si annunciano fantasiosi orizzonti. Se 7 miliardi di speranze vi sembrano eccessivi, possiamo calare con la stima. Un tempo si chiedeva 100 per ottenere 50? Oggi 7 per averne promessi 1. Non si tratta di un’analisi di una trattativa, ma più di un sequel della storia dell’Arsenale dei miracoli e precedenti.

Abbiamo l’ambizione di costruire qui l’arsenale del futuro, l’arsenale 5.0, con un intervento da un miliardo di euro. Non dovrà rappresentare solo un modo per risolvere problemi occupazionali o la prospettiva di rimettere a posto degli edifici. Vogliamo che sia qualcosa che si auto alimenti, che non diventi un costo sociale, un volano di cultura scientifica. Vogliamo creare un tipo di lavoro che non possa essere trovato in altre parti del mondo, e per farlo bisogna legarlo alla tecnologia. La ricchezza si costruisce facendo cose che altrove non si possono copiare.

Guido Crosetto
Ministro della difesa
(13 dicembre 2023)

Se l’arsenale spezzino sarà 5.0, molti si chiedono quando sia divenuto 4.0, o ancora prima com’era quello 3.0, financo come fosse quello 2.0. Così, come se fosse l’aggiornamento di una App iOS o Android, un’ex fabbrica, che fu cuore produttivo di una provincia legata, mani e piedi, ad un’economia di guerra, diventa un’esperimento di scienza politica moderna.

Facciamo un passo indietro, aggrappandoci all’acribia dei numeri. Da 12.13948 dipendenti civili (1951) a 494 (2022), si passerà prevedibilmente a 295 nel 2024: – 95% in meno di 75 anni. Dati impressionanti di per se. Ma se vengono rapportati ai censimenti demografici assumono tinte drammatiche, passando ad occupare dall’8,5% (1951) allo 0,4% (2022) della popolazione attiva spezzina. Un dato che, tuttavia, non tiene conto che il bacino di assunzione in Arsenale andava ben oltre i confini provinciali, quindi la situazione è anche ben peggiore.

Riavvolgiamo il nastro, per esempio per quei parlamentari che ci leggono e potrebbero essere disorientati da un’analisi troppo sintetica. Proviamo a ricorrere ai dati demografici e statistici. Nel 1951, la provincia spezzina registrava 233.264 abitanti, con una popolazione attiva (tra i 115 ed i 64 anni) pari a 154.887 (66,4%). Con un indice di disoccupazione che si aggirava intorno al 7% (circa 11.000 individui), l’Arsenale spezzino occupava 12.139 lavoratori e lavoratrici (l’8,5% degli occupati). in 90 e rotti anni di promesse ed annunci, piani Brin, leggi navali, permute ed altre amenità, la situazione è questa. A.D. 2020: 215.887 abitanti su base provinciale, 132.050 nella fascia 15-64 anni (61,2%), tasso di disoccupazione oltre il 10% (13.337), impiegati in Arsenale 494 (0,4% degli occupati).

Una realtà impietosa. Ogni volta che la politica parla di assunzioni, in Arsenale alla Spezia, si mette in scena una tragicommedia in cui gli atti smentiscono buone intenzioni ed annunci. Con un deficit di organico di oltre 750 addetti, c’è chi chiese 315 assunzioni, con la proposta di modifica n. 11.0.5 al DDL n. 1925, (pag.182). Rigettata la richiesta, dal Carroccio si suonò la ritirata, per “promuovere ogni iniziativa volta ad assicurare un adeguato turn over per l’Arsenale militare marittimo di La Spezia” (Odg n. G/1586/sez. I/6/4 al DDL n. 1586). In questo bailamme arrivò l’annuncio: 138 assunzioni. Suspense! La firma del presidente Draghi, che avvallò il documento varato dei ministri Brunetta e Franco, svelò l’ennesimo parto del topolino dalla montagna. Al di là del fatto che il parto sarebbe avvenuto nelle cucine dell’Arsenale, il concorso dispose solo 63 assunzioni, per di più su base regionale.

I numeri pesano come macigni. Se si parla di 7 miliardi si rasenta la follia, annunciando 1 miliardo, per l’appunto, non so se il riso o pietà prevale. Il crollo occupazionale è legato al declino degli investimenti: 2,47 milioni di € stanziati nel 2016, 5,59 milioni di € nel 2018, 0,025 milioni di € nel 2019. L’allora ministro della Difesa, Roberta Pinotti, annunciava 30 milioni di € per il triennio successivo. Come andò a finire, lo sanno anche i caprioli che vivono in Arsenale.

Date le ipotesi in premessa, che sono dati di fatto, si passa alla dimostrazione, per assurdo, di un teorema che la politica italiana ha ben consolidato, quella spezzina la traduce sulla pelle della sua comunità. Mentire, attraverso dichiarazioni prive di fondamento, traboccanti di retorica, contraddittorie, ma soprattutto fuorvianti. 1 miliardo di investimenti, in un contesto simile, suona vagamente altisonante. Tutto condito dall’ignoranza che imperversa, cemento sul quale si consolida la menzogna e l’ipocrisia. Così i percorsi costruiti sulla menzogna sono lastricati di ottime intenzioni condite, è il caso di dirlo, con promesse da marinai. Un po’ di cultura locale ci può venire in aiuto.

Aloa e aoa
Quand’eimo trei gati de spezin
Ciü luisi che quei de Rimazoe,
E a Speza l’ea tegnü pe’ ‘n cagadoe,
E e serve i ne portavo ‘r capelin;
Quando aa sea ne ziava de signoe
A cacia de ufissiali e de lechin;
Quando s’andava ao tridoo e ae quaant’oe,
E a reze ‘r Cristo e l’asta ar bardachin;
Quand’andaimo ‘nt’er prado dea maina
A mete ai fisc-ci a guardia nassionale,
Dì quelo che te vè, sangue de dina!
L’ea n’autra Speza, serv’assè. Pasquale.
Ma aloa te ne gh’andavi ogni matina,
Per no fae gnente, drento a l’arsenale!

Ubaldo Mazzini, poeta
(1894)

Torniamo all’orrore. Se la politica tende ad esser portavoce delle strutture ministeriali, nella Difesa non c’è eccezione. Anzi. L’assenza di politica produce un vuoto direzionale colmato da chi dirige le strutture ministeriali. In questo caso gli stati maggiori, evidentemente. C’è un altro elemento, ancora più inquietante, che si insidia nei bandi di gara, nelle voci di bilancio, nei capitoli di spesa. Tutte questioni troppo tecniche per arrivare all’orecchio del passante. Così strisciano via ancora più subdolamente, senza risposte, senza spiegazioni. Se non costa nulla annunciare miliardate di investimenti senza dire per cosa, come e perché si dovrebbero spendere, ancora meno sarebbe dare qualche spiegazione. C’è un piano industriale che dica come verranno spesi quei soldi? Quali interventi verranno fatti? Con che scopo strategico ed industriale? Quante assunzioni conseguirebbero?

Neanche una vaga ombra di accenno a queste questioni, lascia presumere che ci si potrebbe trovare di fronte all’ennesima socializzazione dei costi e delle perdite, ma con conseguente privatizzazione dei profitti. Basta ricordare cosa accadde con SeaFuture. Nella scorsa edizione, i 184 stand furono allestiti in due complessi dell’Arsenale. I fabbricati 61 e 62, cinque capannoni per complessivi 12.000 metri quadri. Cinque edifici storici, con più di un secolo di vita, intrisi del sudore di tanti operai. Officine di maestranze (calderai, tubisti e carpentieri in ferro), veri e propri opifici in cui si tramandava, di generazioni in generazione, sapere, consapevolezza, arte e mestiere. Il famigerato Piano Brin prevedeva, tra le altre cose, 23 milioni di euro per la loro riorganizzazione. Oggi, gli ultimi 8 operai rimasti (sui quasi 200 che furono) sarebbero stati “assorbiti” dal reparto manutenzione, mentre nelle officine si allestiscono stand per una tre giorni di fiera bellica.

Se le ipotesi, costruite sulla base del silenzio della politica e i comunicati stampa delle aziende che da tempo hanno puntato gli occhi sull’area industriale più ghiotta del nord Italia, prendono corpo, le questioni in ballo si moltiplicano. Per esempio spiegare e render conto con che criteri si spendono i soldi, pubblici, oltre il muro dell’Arsenale.

Come mai le strutture di gestione militari danno in appalto l’ampliamento di un molo, quando quell’opera è già in fase di progetto e finanziata nel programma Basi blu? Stiamo parlando di quer pasticciaccio del molo Varicella, un casus che troverebbe riscontro nelle carte, ma di cui i media e la politica ben si guardano dall’indagare. Perché lo Stato mette a bilancio fior di milioni per la bonifica dai navigli posti in disarmo e la base spezzina è un cimitero di relitti? E’ un altro casus di cui nessuno si pone domanda, men che meno cerca risposte.

Date le tante le domande sulla gestione dell’Arsenale, le risposte che ne conseguono sono inversamente proporzionali. Anzi, asintoticamente tendono a zero. Meno fortuna ne conseguirebbe se dovessimo spostare il focus sulle criticità ambientali. Come mai le bonifiche dall’amianto procedono con lentezze pantagrueliche, quando a bilancio sono stanziati da anni i fondi ad hoc? Oppure, i pannelli fotovoltaici installati sui tetti arsenalizi da chi sono gestiti? Se sono privati qual è il loro canone di concessione? Che senso ha installare pannelli su edifici inutilizzati o abbandonati? C’è anche chi sostiene che grazie a questa tecnologia, green, si alimentino elettricamente le unità navali, tuttavia la scienza pone delle questioni che talvolta vengono a cozzare con talune narrazioni. Sarebbe ragionevole supporre che vi sia interesse nel conoscere se le strumentazioni che potrebbero emettere onde elettromagnetiche delle unità in ormeggio nuocciano, oppure no, alla salute pubblica? Sarebbe, ma non è dato saperlo.

Quella dell’Arsenale spezzino non è una storia di una borgata murataviva, è la storia di una città che assume, sempre più, le tinte di una delle tante storie che dimostra come, nel mondo post moderno, la politica fonde promesse ed annunci alla loro attuazione. Come se tutto si impastasse in un sistema di comunicazione infinita, dove la promessa è un’atto di fede, l’annuncio è già un atto politico che, nella maggior parte dei casi, le prime sono menzognere ed i secondi sono privi di concretezza. Una tempesta comunicativa in cui la declinazione di democrazia è la possibilità di esprimere un voto, che possa al limite cambiare una maggioranza che sostiene un nuovo governo, ma non di cambiarne politica. Mutuando il paradigma economico, anche nelle scelte politiche è innestato il pilota automatico, di draghiana memoria. Whatever it takes.

Se da un lato i nostalgici dei dipinti del Fossati incutono tenerezza, nella ricerca di un passato che oggi è scomparso, e gli agiografi della militarizzazione del territorio destano pena, i fabbricatori di illusioni che cosa dovrebbero incutere? Il una società, che abbia maturato degli anticorpi ed un pensiero critico, in primis una presa di coscienza. In questa la gioia per la nascita del polo nazionale della subacquea. Alla fine il taglio del nastro non ha atteso nemmeno l’interrogazione parlamentare giacenti al Senato.

Anche per il PNS sono spuntate sirene occupazionali. Stante le fonti, si parla già di una capacità operativa di 70 persone. Stante i dati, il CSSN, al 2016, censiva 306 dipendenti civili. Il fatto che all’inaugurazione non vi fosse traccia dei sindacati (parrebbe non invitati), la dice lunga sulla trasparenza anche in questo ambito. C’è traccia invece di una realtà, un’incubatore di guerra, l’ennesimo che trova sede alla Spezia, assai utile alle imprese che fanno profitti con il nuovo dominio. Tutti ai remi dunque.

Lo sguardo fisso era vasto abbastanza da abbracciare tutto l’universo, abbastanza acuto per penetrare in tutti i cuori che battono nella tenebra. Egli aveva tirato le somme e aveva giudicato. Quale orrore!

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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