L'assassinio di Giuseppe Poggi
Ricorrenze
William Domenichini  

L’assassinio di Giuseppe Poggi

L’assassinio di Giuseppe Poggi rappresenta un episodio poco conosciuto. Per molti Giuseppe Poggi è un nome che dice poco o nulla, per alcuni una lapide dimenticata. Per qualcuno rappresenta una storia da ricordare, che ci fa riflettere sulla differenza tra chi ha lottato per la Libertà, per un mondo nuovo, e chi non smise di inseguire orrori e crimini.

Anelito Barontini, segretario della Federazione comunista spezzina, era ormai ricercato alla Spezia, dopo il successo degli scioperi operai del marzo 1944, e fu stato trasferito a Genova, dove sarebbe poi diventato Commissario politico della VI Zona Operativa. Dopo Barontini è Giuseppe Poggi a guidare la Federazione.

Giuseppe Poggi, nome di battaglia “Franco”. Comunista, arriva nello spezzino insieme ad una altro comunista, Giovanni Rosso (“Luigi”), entrambi inviati dal PCI regionale per operare nel territorio ed affiancando Antonio Borgatti “Silvio”, arrivato alla Spezia come Segretario provinciale del PCI, tra fine maggio e primissimi giorni di giugno. Luigi si occupò in prevalenza del lavoro militare, Franco della riproduzione e della distribuzione della stampa, Silvio del coordinamento organizzativo, del collegamento con la regione.

Il 27 giugno 1944 la Xa Flottiglia MAS avviò un’operazione di rastrellamento nella zona della bassa val di Vara. In particolar modo, la “Compagnia O”, guidata dal tenente di vascello Umberto Bertozzi, condusse l’operazione che insistette soprattutto nella zona del comune di Follo. La scelta dell’obiettivo era dettato dallo scopo di ricercare e catturare dei partigiani, particolarmente attivi in quella zona.

Nelle prime ore del 28 giugno gli uomini della Decima arrivarono a Pian di Follo, in località Serra. Irruppero in una casa isolata ed uccisero Giuseppe Poggi (Franco), da poco alla guida del comitato federale provinciale del partito comunista. Poggi era nella zona per cercare un luogo adatto per una tipografia clandestina e dormiva in un capanno. I repubblichini entrarono nel capanno senza nessun preavviso, aprirono il fuoco ed assassinandolo.

Al termine del conflitto, Umberto Bertozzi fu processato per questo episodio, per oltre cento «omicidi volontari» fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e per numerose sevizie particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945. Nel corso del processo a suo carico incolpò dell’uccisione di Poggi un suo sottoposto, il sergente sardo Panu, che avrebbe agito senza un suo ordine. Tuttavia, il 4 giugno 1947, la Corte di Assise Sezione Speciale (ex Corte di Assise Straordinaria) di Vicenza emise la sentenza di condanna a morte, mediante fucilazione alla schiena.

La Corte di Cassazione, il 9 aprile 1948, commutò la pena di morte in ergastolo e, il 21 luglio 1950, in 30 anni di reclusione. Con sentenza del 25 gennaio 1952 la Cassazione decise la revisione del processo del 1947, rinviando il giudizio alla Corte d’Assise presso la Corte d’Appello di Venezia e concedendo a Bertozzi la libertà provvisoria. Il dibattimento per la revisione avvenne dieci anni più tardi. La sentenza,  datata 25/02/1963, decretò l’estinzione dei reati, per amnistia.

Giueseppe Poggi, un martire per la Libertà.


Immagine tratta da https://it.wikipedia.org/ – Licenza PD

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Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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