Il golfo ai poeti Libri Recensioni
William Domenichini  

Basi blu, l’assenza della politica è un macigno

Riporto l’intervista pubblicata su CDS, in cui affronto il tema Basi Blu e l’assenza della politica che pesa come un macigno.

tratto da CittadellaSpezia

“Il Golfo ai poeti. No basi blu”. Un titolo che la dice lunga su come William Domenichini la pensi riguardo al progetto che la Marina militare sta portando avanti per cambiare i connotati alla sponda di Ponente della base navale. Spezzino di 45 anni, Domenichini è dipendente di azienda ma porta avanti le sue idee anche impegnandosi in prima persona. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano “Fulmine è oltre il ponte” (Ed. Marotta&Cafiero) tratto dalle storie del nonno paterno. Dal 2016 vive con la sua famiglia a Marola ed è entrato a far parte dei Murati Vivi. Nel 2022 è stato candidato al consiglio comunale nelle lista di Leali a Spezia.

D. “Il Golfo ai poeti. No basi blu”, un titolo che sintetizza una posizione, ma un libro che la argomenta in maniera puntuale. Quali sono i cardini del no alla realizzazione del progetto della Marina militare?

Retorica ed ipocrisia

Da spezzino, ho voluto affrontare la vicenda Basi blu cercando di inquadrarla nella storia del nostro golfo e soprattutto analizzando lo stato attuale delle aree militari. Ho avuto a che fare con una montagna di documentazione che mi hanno portato a maturare l’idea che Basi blu sia una vera e propria pietra tombale per la città. Un progetto spacciato per sostenibile, ma che di sostenibilità ha poco o nulla: salvo una tettoia di un parcheggio fotovoltaico, produzione di energia rinnovabile non c’è traccia, eppure stiamo parlando di un’infrastruttura marittima che potrebbe sfruttare sole, onde del mare, vento. Nulla.

Per questo ho dedicato un’intera parte del libro alle proposte che da anni i cittadini portano avanti, evidenziando quali e quante occasioni si stanno perdendo con un progetto “povero” di idee, blu solo nella sua denominazione: si passa dalla lungimirante idea di riattivare 20mila metri cubi di serbatoi di carburante sotto le case al dragaggio di fondali piuttosto inquinati.

Tanti soldi, nessuna ricaduta

Se nessuno interverrà sarà una non-trasformazione, un semplice ampliamento degli scali delle unità navali, che quindi non affronterà tre nodi fondamentali: bonificare radicalmente i veleni presenti nelle aree militari, riorganizzare un immenso spazio per lo più inutilizzato, demilitarizzandolo laddove non è più necessario, e ripensare le attività produttive che non esistono più. Dietro alla retorica su Basi blu, la città e l’intera comunità spezzina corrono due rischi enormi: le criticità che oggi sono pendenti, sia in prossimità degli abitati che in termini ambientali complessivi, resteranno tali (se no peggioranno se pensiamo all’impatto dei navigli ora ed immaginiamo che aumenti), ed ogni ipotesi di riorganizzazione e demilitarizzazione delle aree sarà pressoché impossibile, dati i quattrini spesi. Senza contare le ripercussioni in termini di sicurezza.

Nel golfo abbiamo navi da crociera, unità navali che entrano ed escono dai cantieri di levante per collaudi a mare, il truck loading che farà la spola di GNL tra porto e rigassificatore, navi gasiere, portacontainers, l’attuale flotta militare e, a Basi blu conclusa, la possibilità che 14 unità della NATO entrano ed escano, in una rada è spesso parcheggio di qualche naviglio di cui sopra. Mi pare che, oltre che legittimo, sia ragionevole porsi qualche dubbio ed ripensare che il golfo torni ai poeti.

D. Del progetto si è parlato soprattutto grazie alla stampa. Come si spiega il “disinteresse” dell’amministrazione comunale e dei parlamentari spezzini al riguardo? Trattandosi di un progetto strategico di una forza armata si potrebbe pensare che sia logico portarlo avanti senza interloquire più di tanto con il territorio?

L’assenza della politica

Forse non è disinteresse ma elusione vera e propria. Evidentemente la rappresentanza politica in generale, quella spezzina non si discosta molto dalla tendenza salvo rare eccezioni, ben si guarda dal mettere in discussioni posizioni di rendita, come quelle militari. Probabilmente perché quella rappresentanza politica è troppo presa a curare le proprie carriere piuttosto che perder tempo a studiare ed analizzare le questioni, elaborare delle proposte, aprire dei percorsi dialettici con le parti in causa.

Troppa fatica e probabilmente un lavoro che non porterebbe particolare cura a quelle sacche di consenso che rimangono in un contesto in cui l’astensione dal voto tocca livelli mai visti nella storia del nostro paese. La politica che si è espressa su Basi blu, ripeto salvo rare eccezioni, nel migliore dei casi è stata elusiva, passando dal “non si farà” o “sono progetti che si ripropongono ciclicamente ma non hanno sostanza”. Nel peggiore sono state esercizi di vera e propria fantasia: “porterà lavoro”, “una grande occasione”.

Chiunque legga la documentazione, oppure la sua narrazione come nel libro che ho scritto, e riprenda le dichiarazioni di parlamentari, sottosegretari, sindaci e via discorrendo, avrà la consapevolezza che costoro, probabilmente non hanno mai visionato nemmeno la relazione illustrativa del progetto, oppure, se vogliamo concedere qualche alibi, chi gliel’ha raccontata ha omesso parecchie questioni ed hanno ripetuto alla cieca. Tertium est datur? Mentono sapendo di mentire.

Nessuno vuol parlare di Basi blu

Diciamolo chiaramente: Basi blu è un progetto gestato e gestito da un ufficio ad hoc, a Roma, avallato semplicemente dallo Stato maggiore, sulla sostenibilità finanziaria che è stata consentita dal Parlamento, circa 990 milioni di euro per intervenire nelle basi italiane. Come? Con che modalità? Con quali scopi? Nessuno a posto questioni del genere. D’altro canto la Marina militare non ha compiuto alcun atto di imperio, ha seguito una procedura standard per un appalto, come ogni istituzione pubblica del resto, per ottemperare quelle che ritiene le proprie esigenze.

L’elemento di gravità è l’assoluta assenza della politica, nessuna assunzione di responsabilità nel controllo o nell’indirizzo, una mera presa d’atto, seguita da fantasiose ricostruzioni su quale occasione sta per vivere la città, senza fornire un dato concreto, anzi. Il teatrino sulle assunzioni in Arsenale è l’altra faccia della medaglia di una politica che non prende atto che quella storia è chiusa, e la responsabilità è tutta di chi in questi anni ha deciso di chiudergli i rubinetti o si è voltata dall’altra parte mentre si esternalizzava.

Se da un lato una fabbrica storica come l’Arsenale è alla canna del gas, assistiamo all’altro teatrino dell’esaltazione di Basi blu mentre l’occupazione ai minimi storici con un trend verso la scomparsa, aree di degrado e di abbandono sempre più evidenti, inquinamento sempre più presente e la prospettiva che per decenni la città sarà definitivamente privata di una prospettiva e di un potenziale enorme. Ma d’altronde se chi governa (e amministra) se non è in grado di aprire una discussione, in fase di progetto con la Marina militare, come potrebbe guardare al futuro della città?

La retorica della strategicità

Sulla strategicità di Basi blu nutro più di qualche dubbio. Spesso è un concetto utilizzato per chiudere ogni discussione nel merito e, in questo caso, carte alla mano, il trucco non funziona. Se così fosse com’è possibile che l’ufficio romano “Programma Basi blu” spenda quattrini per un progetto che prevede anche l’ampliamento di un molo (Varicella 1) e la Direzione Genio Militare per la Marina spezzino spende altri quattrini per la progettazione dello stesso ampliamento?

Eppure fanno parte della stessa forza armata e l’oggetto è strategicamente lo stesso. Se è così strategica perché si limita ad ampliare ciò che c’è, senza cogliere l’opportunità di riorganizzare la logistica interna ed efficentarne l’utilizzo. Facciamo un esempio banale: per imbarcare equipaggi, strumentazioni, armamenti, e tutto ciò che necessita le unità ormeggiate ai moli Varicella, i mezzi entrano in Arsenale e compiono almeno 3 km di strada, tra l’altro in un percorso piuttosto tortuoso. Di contro se la base si riorganizzasse sulla parte orientale, ossia lungo la scogliera alla foce del Lagora, dall’ingresso principale, da Porta Sprugola o da porta Ospedale alla zona Scali/Lagora ci sono rispettivamente 500, 800 e 1200 metri, per giunta rettilinei, ma si continua a ritenere “strategico” lo scalo sotto le case di Marola.

Se fosse strategica perché è prevista una produzione di energia rinnovabile che sarà solo il 2,6% dell’elettricità che servirà ai moli previsti, e non si è colta l’occasione di creare un hub rinnovabile che sfrutti il mare, il sole ed il vento.

Un assegno in bianco

Io credo che sia l’occasione di spendere 354 milioni, messi a disposizione dalle leggi di bilancio 2017/2018 (governi Gentiloni e Conte). Sul come spenderli nessuno dei governi successivi si è posto molte domande, indicativo sulla strategicità. Un assegno in bianco insomma. Val la pena ricordarsi che si tratta di soldi dei contribuenti e credo che in una Democrazia la solfa della strategicità delle forze armate sia un paravento logoro, dietro il quale la politica, in particolare quella spezzina che ha espresso non solo parlamentari ma anche ministri e sottosegretari anche politicamente trasversali, tenti di nascondere l’ammaina bandiera, esprimendo un’assoluta insipienza rispetto alle esigenze della comunità.

D. Da marolino, oltre al progetto Basi blu ci sono altre questioni sul tavolo, come la bonifica dalle coperture in amianto e l’area a mare in banchina Carboni. A che punto siamo?

Marola, murataviva

Da Marola vediamo oltre il muro ciò che accade e le bonifiche sono al palo. Ogni iniziativa in tal senso è un lento stillicidio, che fa emergere come sul tema non si ponga particolare urgenza o attenzione, salvo quando è sotto i riflettori, allora si tenta di salvare le forme.

Prendiamo il tema gravoso delle coperture in amianto: dall’ottobre 2018 sono stati bonificati la bellezza di due coperture in un contesto in cui ci sono decine di capannoni coperti da eternit, eppure un emendamento alla legge di bilancio 2019 stanziava un fondo ad hoc, non spiccioli, milioni di euro. Il paradosso a cui assistiamo è che si concludono le bonifiche in caverna, come nel caso dei famosi “bunker” dell’Acquasanta.

La logica cosa detterebbe? Prima bonifichi ciò che è a stretto contatto con la popolazione e poi un sito sotto una montagna. Qui è vero il contrario. Ma sull’amianto la serietà si è misurata già quando si fecero i monitoraggi delle dispersioni delle fibre: impiegarono mesi prima di eseguirli, salvo accertare i livelli di inquinamento atmosferico e ne assessore all’ambiente ne la massima autorità sanitaria (sindaco) presero provvedimenti. Ed è curioso come i CTU della procura fecero i monitoraggi a Cadimare quando i capannoni danneggiati erano davanti a Marola. Diceva quel tale che a pensar male si fa peccato, ma…?

Una base abbandonata

Guardiamo alle banchine dell’Arsenale, parcheggi di unità in disarmo: banchina Carboni, Lagora, vasche di San Vito, fino alle darsene interne non si contano i relitti che stanno a galla per grazia ricevuta, eppure legge di bilancio 2021 stanziava un fondo ad hoc, altri milioni di euro. Oltre alle bonifiche ci sono le attività che vengono svolte a poche decine di metri dalle case. Recentemente i lavori sulle navi ormeggiate ai moli Varicella, davanti alle abitazioni, generarono rumori assordanti per giorni.

Quello era il luogo deputato a tali lavorazioni? Perché non portarono le unità nei bacini interni? Ce ne sono ben 6 in Arsenale. L’amministrazione comunale avrebbe potuto chiedere conto del rispetto del piano di zonizzazione acustica? Domande cadute nel vuoto, ma appena la notizia/denuncia è apparsa sui media hanno terminato i lavori ed i rumori spariti. E i radar che ruotano con le unità ormeggiate in banchina? Non c’è traccia di monitoraggi elettromagnetici. E i fumaioli che appestano di tanto il golfo? Non esistono centraline ARPAL nel ponente del territorio comunale.

Le bonifiche latenti

Insomma un quadro piuttosto desolante, dove permangono sacche di reticenza e di poca chiarezza, che da un’idea su quanto e quanta ipocrisia ci sia dietro alla spesa di 354 milioni di euro per dipingere la base di blu, mentre i soldi stanziati per bonificare non vengono utilizzati. Più in generale io credo, e nel libro emerga più volte, che la questione non si riduce a cosa fa, o cosa non fa, la Marina militare, ma all’assoluta inerzia della rappresentanza politica nella tutela della salute dei cittadini, incapace di assumere tali responsabilità di controllo, e su come, e quanto, un’emanazione dello Stato spenda i nostri soldi.

Dobbiamo attendere, come ho evidenziato nel mio blog, la relazione annuale della Corte dei conti sulle spese per le bonifiche (non) avvenute in ambito militare? Ma non mi risulta che qualche parlamentare spezzino abbia intrapreso iniziative a riguardo, anche banalmente chiederne conto al ministro competente. Men che meno qualche sindaco.

D. Anni fa la città dialogava con la Marina militare per quanto concerne spazi e possibilità di transito delle auto in arsenale in caso di emergenze, ma anche di ipotesi di utilizzo di aree che ormai possiamo definire inutilizzate. Quella stagione, che ha portato anche a una sede e a laboratori per il Polo universitario è alle spalle. Dal suo punto di vista, la decisione è stata presa alla Spezia o a Roma?

Quando c’era un dialogo

La città ha vissuto un momento di grande dialettica tra comunità, istituzioni locali, governo e amministrazione militare, producendo non solo i risultati citati ma un clima in cui la cittadinanza si sentiva partecipe. Il Montagna, il Falcomatà, tanto per citare i più clamorosi, furono frutto di quel clima. Tuttavia credo che in quella fase si sarebbe potuto fare ancora di più, ma anche in una situazione favorevole se tutti gli ingranaggi non si muovano solidalmente, il meccanismo si inceppa.

Quando un comandante come Toscano dichiarava che se ci fossero state le coperture avrebbe spostato i moli Varicella subito, da Roma le allora rappresentanze spezzine era distratte, forse più attente a come strutturare i meccanismi per tenere in piedi un’ex fabbrica come l’Arsenale, peraltro fallendo, come l’istituzione delle permute ha dimostrato, favorendo gli interessi di privati e non incidendo minimamente sul declino inesorabile. Si perse una grande occasione? O forse non è un caso che le demilitarizzazioni sono avvenute tutte fuori dal perimetro arsenalizio, all’interno del quale sono rimaste le stesse criticità?

Un’unica eccezione, un’area contigua ai moli civili di San Vito, a Marola. Nel libro ho voluto ricordare come l’unico episodio di demilitarizzazione dell’Arsenale non è stata attuata in questi anni, nonostante l’accordo formale avvenuto tra l’amministrazione Federici e Difesa S.p.A.

Oggi la politica non pensa in modo strategico

Peracchini e le sue giunte hanno finto che quell’accordo non esistesse ed oggi tutto è come allora. Anzi peggio. Viviamo probabilmente il momento più asfittico e improduttivo sotto il profilo dei rapporti tra la politica e la forza armata, in cui si passa da atteggiamenti poco istituzionali, per usare un eufemismo, a dichiarazioni ai limiti della fantasia, per quanto siano lontane dalla realtà.

Credo che il vero problema sia che oggi la Marina militare non ha un interlocutore politico autorevole, che rappresenti la città, quindi va per la sua strada. Non c’è un atto parlamentare, di governo serio e non sloganistico, così come non c’è un’interlocuzione dell’amministrazione comunale in questi ultimi anni che vada in direzione di un traguardo congiunto con la Marina militare sulle aree e sul loro futuro. A me pare un dato storicamente negativo mai visto, ed i risultati si vedono: sembrerebbe che la partita più importante in gioco siano un pugno di parcheggi, ma fino ad oggi nemmeno quelli sono stati ottenuti.

Anzi, la scorsa edizione della fiera delle tecnologie belliche, SeaFuture, grazie all’ordinanza del sindaco ha utilizzato i parcheggi pubblici, sottraendoli alla città, perché di spazi in Arsenale non ce n’è…

D. Nel libro auspica una conversione che superi la servitù militare in un’ottica di pacifismo e transizione ecologica, temi quanto mai attuali. Tra le altre cose non bisogna dimenticare la vergogna del Campo in ferro, oggi sottoposto a una fitodepurazione sperimentale, ma sparito dai radar dopo un periodo in cui era stato, anche quello, tra le possibili aree “cedibili”…

Campo in ferro

Campo in ferro è una vergogna alla pari, se non peggio, di Pitelli. Se nelle colline del ponente fu un’impresa privata ad inquinare, sulla costa di ponente quella realtà è nata in seno ad un’emanazione dello Stato. Ed è risibile anche l’azione intrapresa. Ritenere che quattro filari di alberi siano pressoché inutili a bonificare i terreni contaminati, da una mole simile di rifiuti tossici, sono le dichiarazioni dell’ing. Boeri, già perito della Procura spezzina ai tempi delle indagini condotte dal procuratore Attinà, nero su bianco in un verbale di una commissione consiliare spezzina, lo scorso inverno.

Quel che sgomenta è che, ad oggi, il comune ritiene quell’area classificata come un distretto di trasformazione (con ambizioni turistico-recettive), piano urbanistico alla mano. Sulla base di quale piano di bonifica? In ogni caso si può davvero pensare di trasformare un’area con quella storia senza un coinvolgimento della cittadinanza, in un percorso di trasparenza, di partecipazione, di dialettica? Io credo di no, almeno in un paese che si ritenga civile.

La censura militarista

Ho scritto questo libro partendo dai dati, dai documenti, ma non potevo certo esimermi dal declinare le proposte che in questi anni sono state fatte. Sono convinto che la necessità di demilitarizzare la città sia un elemento più che attuale e necessario. Al CAMeC è bastato che gli artivisti del Dadaboom scrivessero “Demilitarizziamo La Spezia”, in una performance nell’ambito della mostra dedicata a Giacomo Verde, per scatenare censura e denunce. Un fatto inaccettabile che sottende un problema strisciante in città, nel paese. In un contesto generale in cui non si parla mai di Pace, se non stigmatizzando chi la chiede, ma una litania giustificatoria di interventi armati, fino all’invio di armi in conflitti per procura. Quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Un mondo di muri e fili spinati, che è continuamente sul baratro di una catastrofe bellica o dell’autodistruzione climatico-ambientale?

Io credo che abbiamo il dovere morale di pretendere la diminuzione della pressione militare nei nostri territori, nella nostra quotidianità e dare un contributo a diffondere una cultura di Pace e dialogo. Penso ai militari mandati nelle scuole spezzine, che esaltano un massacro mondiale come la grande guerra con una retorica da secolo scorso, o le scuole che fanno fare l’alternanza scuola-lavoro in ambiti militari, fornendo manodopera gratuita, magari senza tutele banalmente per la loro salute. Qual è il messaggio? Che è un’opportunità? A mia avviso si cerca semplicemente di plasmare le nuove generazioni ad una visione unica, conflittuale, acritica, in perfetto disaccordo su quanto è sancito nella nostra Costituzione, se si è laici, in perfetto contrasto con il pensiero di Papa Francesco, se si è cattolici credenti.

Demilitarizzare non basta

C’è una questione che ho voluto rimarcare in questo libro e che vorrei fosse stimolo di riflessione. Riconversione non basta, occorre non perdere di vista il metodo: informarsi, discutere e partecipare ai processi decisionali, perché investe il futuro di tutta la nostra comunità. La Marina militare ha il dovere di riorganizzare i suoi spazi, in un ottica reale di sostenibilità e di riduzione dei costi ed ha il dovere di liberare ciò che non utilizza. Questo aprirebbe le strade alla visione di una nuova città, sul piano produttivo, per attività produttive sostenibili, che valorizzi di un pezzo della nostra storia e che recuperi di ciò che l’Arsenale ha cancellato o nascosto.

Le sprugole sono davvero delle divinità sparite, un tratto straordinariamente peculiare del nostro territorio che potrebbe riaffiorare? E’ una provocazione per ricordarci quanto era meraviglioso il nostro golfo, come scrisse un senatore ed accademico del calibro di Giovanni Capellini. Ma senza scomodare aspetti “romantici”, occorre essere pragmatici. Oltre alla questione ambientale e della salubrità, il grande tema, quello dell’occupazione è un elemento disatteso, tanto da Basi blu, che essendo un semplice progetto di infrastruttura portuale non porterà un solo posto di lavoro in più all’interno dell’Arsenale, quanto al teatrino penoso che stiamo assistendo su quel che fu tra le più importanti realtà occupazionali della provincia spezzina, passata in 80 anni da oltre 12000 lavorator* a meno di 500.

Il recupero dei beni culturali

La scorsa primavera, l’ex sovrintendete ai beni culturali, Piero Donati, lanciò una proposta per la “liberazione” della chiesa di S.Francesco Grande e il recupero delle antiche fondamenta della chiesa di S.Maurizio. Quell’appello fu sostenuto da figure di altissimo profilo culturale del paese, penso in primis al rettore Tomaso Montanari. Questo è solo un elemento che consentirebbe di strutturare un modello turistico sostenibile e non “predatorio”, controvertendo una pericolosa china che fa dei nostri borghi (e di molti quartieri della città) dei dormitori per turisti, sempre più privi di servizi per la comunità.

D. Nonostante tutto il suo libro è un grido di speranza, con uno sguardo al futuro nel quale auspica ci sia un cambio di passo tramite la nascita di una coscienza critica e civica differente. Quali segnali vede come appigli ottimismo?

Dall’analisi dello stato delle cose e dei documenti mi ha consentito di descrivere la realtà che emerge, con tutto il mio pessimismo della ragione. Ma per restare in citazione colta, non potevo concludere, o meglio aprire il finale, con l’ottimismo della volontà. Una comunità come Marola, nonostante tutto, non si è mai arresa e continua a non sottacere di fronte alle più annose difficoltà che vive quotidianamente, facendo proposte su proposte, cito quella più significativa: i MuratiVivi presentarono una tesi di laurea sulla riqualificazione urbana al Comando Marina Nord. Era quel periodo aureo di cui alla domanda precedente.

A maggior ragione oggi occorre dare il proprio contributo. Nella costa di ponente inizia ad esserci la consapevolezza di essere la punta di un iceberg, perché la questione sta nel rapporto tra la città intera e le aree militari. Se a Marola significa salubrità, spazi sociali ed accesso al mare, per l’intera città significherebbe questo e molto altro: una nuova visione, sotto il profilo delle opportunità di lavoro, se ci fosse un disegno che guardi a valorizzare realmente l’economia del mare e non ad utilizzarla come slogan, magari ricorrendo ad accattivanti ed incomprensibili inglesismi. Significherebbe ripensare la città sotto il profilo della mobilità, di nuovi percorsi culturali e turistiche, insomma far tornare La Spezia una città di mare e non sul mare, iniziando da una presa di coscienza della comunità.

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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