Opinioni
William Domenichini  

Un giorno di memoria, 364 di oblio

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Un giorno di memoria, 364 di oblio? Ieri era il giorno della memoria, il giorno in cui si ricorda la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata rossa.

Oggi, domani, dopodomani e via via che ricordiamo? Ricordiamoci una parola, tutti i giorni, untermensch, che dal tedesco all’italiano diventa sub-umano.
Himmler (per chi non lo ricorda il capo delle SS) scrisse nel 1936 che era loro dovere preoccuparsi che mai più in Germania, nel cuore dell’Europa, possano scoppiare rivoluzioni di sub-umani ebrei o bolscevichi, sia dall’interno che dall’esterno, tramite emissari.

Beninteso che gli untermenschen erano considerati, oltre che gli ebrei, slavi, gitani, africani, elementi considerati asociali come omosessuali, criminali, mendicanti, giramondo, antifascisti, preti, prostitute, i profanatori della razza, i ritenuti moralmente degenerati, i disabili mentali, gli individui con un quoziente intellettivo inferiore a quella che veniva ritenuta media, le persone affette da malattie psichiche e, più generalmente, patologie ereditarie. Difficile stabilire delle cifre, ma questi “campi semantici” disumani hanno contato circa 15-17 milioni di vite umane straziate da morti orrende, in un climax che andava dalla fame alle malattie, dallo sfinimento alle camere a gas, passando per esperimenti eugenetici o test su tecniche di sterminio, solo perché “differenti”.

Primo Levi scrisse che i lager nascono facendo finta di nulla. Nessuna definizione di una tragedia fu più calzante, quando l’orrore e l’abominio si impossessa delle nostre quotidianità, quando ciò che è orribile e sconcertante non ci inorridisce e non ci sconcerta, ma ci rende aridamente indifferenti, i lager ritornano ad essere un orizzonte possibile.

Il 27 gennaio ricordiamo, gli altri 364 giorni appuntiamoci tanti triangoli nella mente.

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Immaginate di tornare indietro nel tempo, 150 anni fa e ripercorrere le strade che circondavano uno dei luoghi più incantevoli del Bel paese: il golfo dei poeti. Oggi quella meraviglia è circondata da una quantità impressionante di muri, fili spinati ed un cartello: "Zona militare". un viaggio per guardare con spirito critico al presente, fotografarlo e raccontarlo nella sua realtà, quella che spesso viene celata dietro ombre di silenzio, nell’intento di prendere coscienza di ciò che non funziona, di ciò che andrebbe modificato, ma soprattutto di ciò che va impedito nel prossimo futuro, rivedendo profondamente un’occasione storica che altrimenti verrebbe a mancare.

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