
Il mare sacrificato alle armi
Basi blu, l’arsenale e Leonardo: il mare sacrificato alle armi, è il racconto de Il Fatto Quotidiano sulla Spezia, città della Marina, raccontata dal giornalista Tommaso Rodano. Destino blindato. I pacifisti contestano la sua vocazione bellica, ma il governo ha altri piani e l’industria assume. Un reportage con alcuni interventi come Giorgio Pagano, Giorgio Beretta, Giancarlo Saccani, William Domenichini.
Il mare sacrificato alle armi è un reportage de Il Fatto sul tema dell’occupazione militare del territorio e dell’industria bellica. La prima tappa è stata Anagni, poi Colleferro e il Sulcis, con le bombe
che hanno alimentato la strage saudita in Yemen. Con questa puntata dalla Liguria, continua il racconto de Il Fatto sugli stabilimenti italiani dove si producono e assemblano armi. Un mercato particolare, in cui problemi di coscienza si scontrano con l’esigenza di dover mantenere un posto di lavoro, spesso in aree, dove le opportunità sono poche e i profitti dell’industria militare copiosi. Il periodo storico, che vede un boom di spese in armi e un imminente riarmo europeo, fa felici i big del settore. Ma dietro ai bilanci ci sono le storie di chi vive questi territori.
La Spezia è una città di mare senza il mare. Il Golfo dei Poeti è stato trasformato in un golfo di pareti: il tessuto urbano è costruito per escludere lo sguardo dal suo orizzonte naturale. L’azzurro compare per un tratto breve, quando ci si affaccia su Viale Italia, dove la passeggiata costeggia il porto turistico, oppure bisogna andarlo a vedere dalla collina. Per il resto la costa è uno spazio vietato, una fila di recinti industriali e servitù militari: muri, cancelli, fili spinati, banchine interdette. Il mare è sequestrato per chilometri dall’Arsenale, poi il porto commerciale, i cantieri degli yacht di lusso, il centro di ricerca della Nato, quindi l’enorme Fincantieri. Pochi metri all’interno, un’altra recinzione: le fabbriche d’armi Oto Melara (oggi Leonardo) e Mbda.