Una mobilitazione NO BASE blu
No base blu diventa una mobilitazione. Nasce dall’energia collettiva della rete spezzina Pace e Disarmo, dall’esigenza di opporsi ad un progetto sbagliato ed anacronistico. Una richiesta di partecipazione per fermare un’enorme spesa pubblica in settori meno urgenti per la collettività. Come? Mettendo a sistema le energie per proporre un cambiamento nasce la convergenza contro l’adeguamento agli standard NATO della base spezzina, dipinta di blu.
La rete spezzina Pace e Disarmo significa ACLI, ANPI, ARCI, Archivi della Resistenza, Associazione Culturale Mediterraneo, Associazione Amici di Padre Damarco, Associazione di solidarietà al popolo Saharawi, Associazione Murati Vivi, Chiesa Battista, Chiesa Metodista, CGIL, Circolo Pertini, Cittadinanzattiva-Tribunale del malato, Collettivo 8 Marzo, Comitato Acqua-benecomune, Emergency, Gruppo di Azione Nonviolenta, Informazione Sostenibile, Legambiente, Magazzini del mondo, Non una di meno, Libera, Rifondazione Comunista, Unione Donne Italiane, Unione degli Studenti.
Dal basso per rivendicare l’esigenza, democratica, di un confronto, di un dibattito pubblico. La proposta di un‘altra visione del golfo spezzino, di Pace, realmente sostenibile, in cui un diritto, come quello del lavoro non muti in privilegio. Dall’incontro di persone, associazioni, movimenti accomunati da valori di pace, solidarietà e giustizia sociale, ambientale e di genere, emerge la spinta a far nascere uno strumento di approfondimento, di studio, di critica e di proposta che apra una fase democratica, di confronto e di cambiamento.
Un appello, con la prospettiva di informare, di incontrare e condividere l’idea di aprire un percorso di dibattito pubblico e portare le istanze di contrarietà a questo progetto. Metterci la firma e porre le istituzioni di fronte alle loro responsabilità.
L’appello
Una spesa enorme
Nel silenzio, il parlamento finanziò il programma Basi blu (leggi di bilanci 2017 e 2018), 750 milioni di euro rifinanziati, nel 2024, per complessivi 1,76 miliardi di euro. Nel silenzio le strutture del ministero della Difesa hanno redatto un progetto di fattibilità per la base spezzina, bandendo ed affidando la gara per adeguare la base navale spezzina agli standard NATO. Tre nuovi moli, l’ampliamento di un molo e di una banchina esistenti, per un tombamento a mare di circa 40 mila metri quadrati, la riattivazione dei serbatoi di carburante sotto le viscere della collina in cui sorge Marola, il dragaggio di 600 mila metri cubi di fondali della darsena, senza operare una reale bonifica delle realtà inquinate (discarica di Campo in ferro in primis). Adeguare la base navale spezzina agli standard NATO costerà la cifra astronomica di 354 milioni di euro.
Le criticità
La “nuova” base spezzina, che fintamente viene colorata di blu senza divenire realmente sostenibile, creerà ulteriori criticità per la città e l’intero golfo. In termini di sicurezza per l’aumento del naviglio militare. In termini di impatto ambientale, aumentando attività che ad oggi hanno reso quell’area un disastro ecologico. Non creerà un solo posto di lavoro, perché ampliare le infrastrutture non produrrà nessuna opportunità occupazionale stabile. Nessuna delle tante criticità ambientali verrà sanata, non prevedendo di bonificare dalle sostanze pericolose presenti in un’area fortemente inquinata. Discariche ed abbandoni, rappresentano una bomba ecologica, e di nocività, innescata. Non c’è l’ombra di una riorganizzazione di enormi aree militari, molte delle quali abbandonate ed inutilizzate, che fanno dell’area militare spezzina un dedalo logistico.
Il futuro bellico
In un contesto globale di continue escalation belliche, invece di prospettare scenari di diplomazia e di dialogo, si progettano infrastrutture militari per una maggiore proiezione nei teatri di guerra, in un clima globale sempre più incandescente e conflittuale.
La scomparsa dell’Arsenale
Parallelamente le aree dell’Arsenale, sempre più lasciate all’incuria ed all’abbandono, vedono un inesorabile crollo dell’occupazione, arrivando oggi a registrare una situazione che prelude la scomparsa del comparto pubblico della Difesa. L’agonia di una delle più importanti realtà occupazionali della storia locale è accompagnata da concrete strategie di cessione di suoi spazi a privati. Aree militari concesse a privati senza nessuna ricaduta per la collettività. Pertanto va mantenuta la governance pubblica delle aree attualmente in uso alla Marina militare, per evitare un modello speculativo, nella logica degli appalti e subappalti selvaggi.
Chiediamo…
Per tutti questi motivi lanciamo una mobilitazione permanente della nostra comunità e chiediamo:
- un piano reale di bonifica delle aree militari e di monitoraggio delle attività inquinanti, per una loro riorganizzazione e razionalizzazione;
- la valorizzazione, recupero e demilitarizzazione delle aree in stato di abbandono, dei beni culturali presenti e dimenticati (come la chiesa di San Francesco Grande), per ridare alla città la sua storia;
- la restituzione di spazi alla comunità, per ricostruire un vero e naturale accesso al mare da parte della città;
- un piano di attività produttive di buona occupazione, garantita da vincoli di contrattazione d’anticipo in cui le organizzazioni sindacali svolgano il loro contributo in un confronto preventivo, con una reale prospettiva di compatibilità con l’ambiente che ci circonda e di salubrità.