questa non è una pipa
Diritti e rovesci Omnia sunt communia
William Domenichini  

Questa è una pipa

Questa è una pipa, il comunicato ufficiale di Alessandro Giannetti, compagno, artivista viareggino, militante del collettivo Dada Boom. La sua nota, divulgata in questi giorni, in seguito alla condanna per i fatti accaduti al CAMeC e la censura artistica.

È arrivata la condanna nei miei confronti per la performance “Ogiugno Oluglio” (no censura, no spese militari), che si è svolta al CAMeC di La Spezia durante una mostra dedicata all’artivismo di Giacomo Verde.

Sì, proprio così. Sono stato condannato per un’azione coerente con la poetica e il pensiero dell’artista a cui quella mostra era dedicata. Per chi non lo sapesse, sono stato co-fondatore – insieme a Giacomo e ad altri/e – del Collettivo Dada Boom e del Reodadaismo, un’esperienza artistico-politica che intreccia creatività, dissenso, disobbedienza e arte pubblica, e che proprio negli ultimi anni di vita di Giacomo ha trovato una delle sue espressioni più radicali e lucide.

Ora la domanda è: possibile che né il CAMeC, né le “addette alla cultura” coinvolte nell’organizzazione, non sapessero cosa significa reodadaismo?

A pensar male si direbbe l’ennesimo caso di incompetenza e dilettantismo museale – cosa purtroppo diffusa in molte istituzioni italiane – ma questa ipotesi non regge, soprattutto nel caso della curatrice Annamaria Monteverdi, che il reodadaismo lo conosce.

Allora sorge un dubbio più inquietante: e se non si trattasse di ignoranza, ma di una scelta politica? Una decisione consapevole di escludere, reprimere, cancellare ciò che è davvero scomodo?
Perché questo è evidente: a La Spezia – città tra le più militarizzate d’Italia – la parola “DEMILITARIZZARE” non si può scrivere, nemmeno se lo fai su un muro di cartongesso da 15 euro e 90 centesimi, nemmeno se sei invitato a una mostra sull’artivismo di un reodadaista, nemmeno se sei tu stesso un reodadaista.

Sembra assurdo, eppure è successo. E il fatto che sia successo dentro un museo, luogo che dovrebbe garantire libertà espressiva, rende tutto ancora più grave.

La curatrice, nel suo comportamento, ha mostrato una contraddizione che non possiamo ignorare: ha scelto di tradire la memoria viva di Giacomo Verde, prestando il fianco a una cultura istituzionale sempre più autoritaria, funzionale alla narrazione militarista dominante, e – diciamolo chiaramente – alla deriva neofascista che avanza sotto traccia ma neanche troppo.
Questa vicenda non riguarda solo me.

È stata condannata una forma di arte che osa dire NO alla guerra, NO alla repressione, NO alla complicità passiva.

La censura è già di per sé gravissima, ma c’è di più: nel giorno della mia sentenza, mentre alcuni compagni e compagne del “Collettivo Mario Giannelli contro la repressione del D.L. Sicurezza” distribuivano volantini fuori dal tribunale in segno di solidarietà, la giudice ha deciso di verbalizzare quel volantino e trasmetterlo alla DIGOS per avviare delle indagini.
Avete capito bene: la solidarietà è diventata oggetto di controllo e sospetto.

Un volantino. Un gesto umano e politico, trasformato in potenziale reato.

Siamo davanti a un attacco chiaro e diretto non solo alla libertà d’espressione, ma alla possibilità stessa di costruire comunità, sostegno, dissenso condiviso. È il volto feroce di una democrazia svuotata, che reprime ogni segnale di disobbedienza civile, ogni voce che mette in discussione l’ordine armato delle cose.

E ancora una volta, il reato non è l’azione, ma il pensiero che l’ha generata.

Ed è proprio per questo che non possiamo permetterci di lasciare il campo e refluire.

Non possiamo cedere alla paura che questi atti di repressione cercano di inoculare.

Non possiamo accettare che l’arte venga addomesticata, che le nostre parole vengano silenziate, che la solidarietà venga criminalizzata.

La risposta deve essere collettiva, calda, disobbediente, visibile.

Dobbiamo rispondere con ancora più azione, con ancora più alleanze, con ancora più immaginazione politica.

Solidarietà al Collettivo Mario Giannelli. Con rabbia e amore, in lotta e in arte.

Alessandro Giannetti


Immagine di copertina tratta da @officinadadaboom

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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