Epilogo SeaFuture, la scomparsa delle aree militari
Per la prima volta nella sua storia, la fiera di guerra SeaFuture arriva al suo epilogo ansante, sopraffatta dal pensiero critico e per la prima volta a memoria d’uomo, segna la scomparsa del dibattito sulle aree militari, sul destino dell’arsenale e della base tinta di blu.
Qualcuno potrebbe obiettare che il mio sia un’eccesso di ottimismo. Tempo al tempo. Nelle cronache passate, la fiera bellica, che esporta democrazia a suon di tecnologia militare in cambio di dollari sonanti, è trapuntata di dichiarazioni roboanti. Che novità direte voi. Ma non tanto su SeaFuture in quanto tale, ma sul destino strategico e cruciale delle aree militari spezzine. Come spesso accade, nell’era post-moderna, si tendeva ad assumere tali dichiarazioni, qualora espresse da esponenti istituzionali, come atti politici. Ma sempre dichiarazioni restavano e, al fin della tenzone, di atti concreti non se ne è vista mai l’ombra. Se poi si dovesse ripescare negli archivi, allora ci potremmo trovare di fronte ad una vera e propria comica.
Abbiamo l’ambizione di costruire qui l’arsenale del futuro, l’arsenale 5.0, con un intervento da un miliardo di euro. Non dovrà rappresentare solo un modo per risolvere problemi occupazionali o la prospettiva di rimettere a posto degli edifici. Vogliamo che sia qualcosa che si autoalimenti, che non diventi un costo sociale, ma un volano di cultura scientifica. Vogliamo creare un tipo di lavoro che non possa essere trovato in altre parti del mondo. Per farlo bisogna legarlo alla tecnologia. La ricchezza si costruisce facendo cose che altrove non si possono copiare.
Guido Crosetto
(21 gennaio 2024)
Il titolare del dicastero di via XX settembre, non l’uscere di viale Amendola, la tocca pianissimo. Si limita a sottolineare che “l’Arsenale nacque con una visione che all’epoca nessuno capì“. Mi perdonerete l’azzardo, ma posseduto da spiriti trilussiani il coro astante risponderebbe: eh sticazzi? Insomma, da annunciare un miliardo di investimenti a far scomparire la struttura dai radar delle dichiarazioni, è un passo significativo. Allora scendiamo di livello gerarchico.
Attraverso quell’ordine del giorno che è stato approvato, di istituire un tavolo che vada a puntualizzare qual è l’esigenza numerica per mettere in sicurezza gli arsenali militari e da questi numeri ipotizzare anche delle soluzioni emergenziali proprio nelle procedure di assunzione. Io come idea ho per esempio il tema legato a una decretazione di urgenza che consente al Ministero della Difesa di poter procedere in maniera autonoma all’emanazione dei bandi.
Già il numero che abbiamo in negativo di forze attuali, che sono ora in circa 600 rispetto alle 900 che dovremmo avere e i nuovi pensionamenti capiamo bene qual è la difficoltà oggettiva di un arsenale che è comunque uno strumento essenziale per la nostra sicurezza nazionale. Si parta velocemente con il tavolo, si vada ad individuare quello che è il numero per il quale dovrei procedere con delle misure eccezionali e poi puntualmente andrò a stimolare per far sì che questo avvenga.
Devono essere coinvolte proprio in prima persona perché loro conoscono bene qual è la criticità dei singoli arsenali.
Stefania Pucciarelli
(16 febbraio 2023)
La paladina delle assunzioni in arsenale, sempre dichiarate e mai concretamente attuate, si è indignata della contestazione, ma nulla più. Stante le dichiarazioni roboanti e la totale vacuità del loro effetto pratico, forse un filino sgrammaticate, la riflessione che sorgerebbe spontanea sarebbe che evitare di menzionare l’Arsenale, a questo giro, è stato un colpo da maestri. Meglio tacere che far ulteriori brutte figure. Il coinvolgimento dei sindacati è stato talmente efficace che di assunzioni non se n’è vista l’ombra. Allora se la ɐɔı̣ʇı̣ןod (al contrario) perde i colpi anche sulla propaganda da bancarella, proviamo con le gerarchie militari, che da sempre hanno tenuto ad evidenziare come 900.000 metri quadrati di inquinamento ed abbandono fossero essenziali allo sforzo militare patriottico.
Secondo i nostri calcoli il 2025 è l’anno entro il quale se non facciamo qualcosa per porre rimedio a questa situazione perderemo per sempre qualcosa di grande pregio. Siamo d’accordo con i politici locali, che hanno perorato questa causa, che alla Spezia, come a Taranto, occorrono assunzioni che saranno benefiche sia per il tessuto economico locale che per la forza armata.
Giuseppe Cavo Dragone
(22 gennaio 2021)
Ma anche su questo versante, mie cari piccoli lettori, occorre segnare profonda delusione. Non una parola, riguardo il destino delle aree militari, dall’ex capo di stato maggiore che, dal 17 gennaio 2025, è presidente del comitato militare NATO. L’ammiraglio con quattro stelle, in passato l’ufficiale più alto in grado delle forze armate e, prima ancora, a capo della Marina militare, nulla. Ma allora ci penseranno gli alti ufficiali del territorio? Delusione anche su quel fronte. Non c’è l’ombra di una dichairazione da parte del comandante Marina Nord e, a differenza del suo predecessore, nemmeno l’attuale direttore dell’Arsenale, ha proferito parola. Forse questo è un merito, almeno non avranno da evitare strali come chi li ha preceduto, nell’ingrato compito di gestire un’area, di 900.000 metri quadrati, inquinata e quasi totalmente abbandonata al degrado.
Non se n’è curato, e perché mai dovrebbe, il ministro dell’interno Pianteodosi, il quale da remoto, come altri ha posto invece il focus su un’altra preda ambita: il polo nazionale della subacquea. Ma questa è tutta un’altra storia, ma che in una certa misura apre un’ulteriore capitolo. Ora chi sa da chi è diretta la struttura che sta diventando fiore all’occhiello della (trasversalmente) potrebbe dubitare che il passaggio sia volutamente ironico. Lo è, infatti.
Quattro mesi fa scoppiò il caso Arsenalopoli. Si guardi il caso, a pochi giorni dalla chiusura dei battenti della fiera di morte, la Procura della Spezia annuncia la conclusione delle indagini preliminari. In attesa di sapere se si andrà ad archiviazione o a processo si potrebbero azzardare delle ipotesi. Senza millantare virtù preditive, dato che il tribunale del riesame ha già respinto alcuni ricorsi nel luglio 2025. C’è il sensato motivo di ritenere che i militari e gli imprenditori coinvolti possano andare alla sbarra. Sarebbe un bel biglietto da visita per chi, da anni, auspica l’intervento dei privati nelle aree militari dello Stato italiano.
E basi blu? Se i capannoni e le ex officine dell’Arsenale ormai sono, quelle ancora agibili, ridotte a centri fieristici per aziende private, o sedi operative di fornitori della Marina militare, magari a canoni (non cannoni!) di tutto rispetto, i destini dei moli della base navale? Nelle precedenti serie della fiera della morte non sono mancati i rimandi pomposi e retorici alla tinteggiatura di blu della base navale. Edizione 2025, nulla.
Che sia scomparsa anche lei dai radar come le assunzioni in Arsenale? Eppure, di tanto in tanto, qualche velina giornalistica compare. I soldi per adeguare agli standard NATO una base che ingessa un’intera città ed un golfo ad una vocazione bellica sono dove, il governo Letta prima e Renzi poi, li hanno messi. A bilancio. Forse la contestazione, forse l’opposizione di Plutone al Sagittario, sta di fatto che a questo giro, il mantra pittorico della base più ingombrante, inutile, mal progetta ed inquinata del mediterraneo settentrionale, non v’è menzione.
L’Acampada di piazza Palestina libera, per chi si fosse focalizzato solo sui flussi del traffico o sull’estetica o sul fatto che ci son ben altre cosa su cui protestare e via discorrendo con i luoghi comuni di chi china la testa senza guardare in alto, è stato anche un luogo di discussione di questo. Così, il paradosso che ha vissuto la città della Spezia dal 28 settembre al 4 ottobre è stato questo. La ɐɔı̣ʇı̣ןod (ossia la sua mediocre rappresentazione istituzionale) non ha detto una parola su una delle questioni più spinose della città (e non solo). Dall’acampada si è discusso, in vari modi, di come sia possibile che nel 2025, con un livello occupazionale praticamente inesistente, con problematiche ambientali e di salubrità preoccupanti, si debba necessariamente porre il tema della riconversione.
L’opposizione alla tinteggiatura della base spezzina passa anche dalle tende di Piazza Palestina libera. E contando che quella piazza ha mobilitato 6 cortei, 2 presidi, 2 scioperi. 6 assemblee pubbliche (e due partite a scacchi perse dal sottoscritto, ma contro un fisico della Normale!), c’è da riflettere. Su cosa? Intanto che l’8 ottobre aggiorna la statistica sui cortei, portandoli a 7. Ma in particolare sul fatto che la Politica (questa volta scritta correttamente e con la P maiuscola), si sia trasferita da una rappresentanza fittizia ad una pratica concreta. Duole dirlo, ma anche grazie al sacrificio del popolo palestinese, a cui occorre sempre volgere un inchino deferente e spendere ogni attimo di tempo disponibile perchè si fermi il suo sterminio.
