Un golfo NATO dei poeti
Inizia a prendere corpo una consapevolezza che un golfo NATO dai poeti, oggi è l’emblema di un neocolonialismo. Un processo che ha iniziato ad intaccare la nostra società nel profondo. I beni comuni, monopoli naturali e prede ambite di board che devono garantire incrementi di fatturato sulla pelle delle comunità. Acqua, rifiuti, aria. Ma anche comunicazione, energia, conoscenza, salute. Tutto deve fare profitto. Voi direte e cosa c’entrano le basi?
Qualcuno disse che occorre sempre seguire la traccia dei soldi. Tanti soldi. Soldi che provengono dalle trattenute delle buste paga dei lavoratori e delle lavoratrici. Nel 2024, il PIL italiano cubava circa 2.200 miliardi di euro. Se qualcuno, ipotizziamo la NATO, chiede di arrivare a spendere il 5% di tale somma nel settore militare, significa che il nostro paese spenderà, in armi, basi, e infrastrutture militari una cifra intorno a 110 miliardi di euro. Queste cifre posso essere difficilmente interpretabili. Allora proviamo ad avere un termine di riscontro. Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il bilancio dello Stato italiano per il 2025 prevede entrate per quasi 1.200 miliardi di euro. La stima di spesa dovrebbe aggirarsi intorno ai 915 miliardi di euro, lasciando un saldo negativo (deficit) di circa 186 miliardi. Nel 2024 il fabbisogno dello Stato italiano è risultato intorno ai 125 miliardi di euro.
Cifre alla mano, valutate voi cosa significhi la prospettiva di aumentare la spesa militare fino ad arrivare a 110 miliardi di euro. Nell’ipotesi che si cerchi di limitare l’aumento del deficit (e relativi tassi di interesse che ne gravano), l’unica via per sostenere, contabilmente, tale scelta è tagliare altre spese. Per esempio bloccando ogni assunzione nel settore pubblico che, al netto delle narrazioni brunettiane, è uno dei più deficitari dell’Unione europea. Una pubblica amministrazione con poco personale significa minore capacità di fornire servizi essenziali. Tagli significa ridurre ancora di più questa possibilità. Scuola, sanità, enti locali (servizi sociali, servizi ambientali, trasporti) saranno ancora di più una trincea in cui pochi eroici angeli votati al sacrificio tenteranno di sopperire alle sforbiciate governative.
Ulteriori tagli alla spesa corrente negli stessi settori ha altri significati. Meno personale, blocco o immobilismo di una macchina che già è incrinata. Meno soldi alla pompa di benzina, significa meno capacità di curare le persone, meno strumenti educativi nelle scuole. Andiamo avanti. Meno capacità di mobilità pubblica, meno perequazione nell’erogazione di servizi essenziali. Il taglio del pubblico in settori essenziali della vita sociale di un paese verrà compensata da sempre più ingenti scorribande private. Chi avrà possibilità economica di curarsi lo farà, viceversa si ammalerà senza speranze. Stesso discorso per l’istruzione dei propri figli. Chi potrà lo farà con mezzi propri, viceversa ripiomberemo in una società feudale in cui i poveri resteranno semianalfabeti. Chi avrà la possibilità avrà acqua potabile, e via discorrendo. Sta scritto nella Costituzione? Pazienza.
Di fronte ad una svolta epocale del conflitto capitale-uomo, non ci sono molte alternative. Obiettare, boicottare, organizzarsi e ribaltare il paradigma. La questione dovrebbe invadere le assemblee sindacali della aziende sanitarie locali, delle multiutility, i collegi docenti, e via via tutte le realtà che “beneficeranno” di un ridimensionata che cambierà radicalmente il loro lavoro, in peggio, e il servizio che forniscono. D’altronde, nelle scuole, per esempio, da tempo si sente parlare di utenza. Un tempo li chiamavano alunn*.
Sul fronte opposto, tutte le realtà che si stanno mobilitando contro un’ulteriore militarizzazione del territorio dovrebbero tenere insieme tutti questi aspetti. E non solo. Da Cagliari a Palermo, da Vicenza a La Spezia, da Taranto a Pisa, da Firenze a Brescia. La mappa di spesa militare e della militarizzazione della società non è solo questione locale, ma nazionale. Il salto di qualità di queste realtà è legato, senza ombra di dubbio alla capacità di mettere a sistema informazioni, dati, azioni, pratiche.
La serata graziotta, organizzata il 9 luglio scorso dall’associazione Posidonia, ha fornito molti elementi di analisi e di prospettiva, ma soprattutto di confronto pubblico, aperto, schietto. Per far crescere una mobilitazione che svegli chi dorme sonni profondi da anni, se non decenni. La classe dirigente. E’ un dato che la spinta dal basso sia un elemento che supplisce ad una, salvo rari eccezioni, mancanza di visione politica. L’ampliamento di una base, tinteggiata di blu, non è questione di una borgata di mare senza mare da 150 anni. Si tratta di un elemento complessivo del sistema golfo spezzino, da inquadrare nella premessa che ho enunciato.
Spezia. Una città usata, trattata come un territorio coloniale, l’ho già detto altre volte, ho paura di ripeterlo, un territorio coloniale che è messo al servizio di interessi e di decisioni che si svolgono e che hanno sede in altri luoghi. […] Questa è la tradizione storica di Spezia, subita spero non voluta perché sarebbe addirittura delittuoso da tutta la nostra tradizione amministrativa, da 150 anni a questa parte. Spezia, questa città di mare, direi piuttosto della Marina dal momento che non sono mai riusciti a sapere il numero esatto dei chilometri di litorale che appartengono al Comune.
Giovanni Giudici, poeta e consigliere comunale
( 11 febbraio 1992)
354 milioni di euro, senza nessun intervento di bonifica. Senza nessun intervento occupazionale. Solo per aumentare il livello di servitù militare, aumentando i livelli di rischi ad essa connessi. Mentre in sordina verrà ampliato il molo NATO che fornisce carburante alle basi aeree del nord Italia, basi blu nasconde un elemento fondamentale. Anzi due. Il primo è l’asservimento ai privati del servizio militare, il secondo è che le guerre partono dalle nostre case.
Due spunti vorrei riproporre con enfasi. Il primo è dell’ex sindaco della Spezia.
Siamo tornati al punto di 150 anni fa. Ma con una differenza radicale: allora arrivarono i posti di lavoro, oggi non ne arriverà nemmeno uno. Ma ci rendiamo conto? E tutto nel nome della Nato!
Giorgio Pagano, ex sindaco della Spezia
(13 luglio 2025)
Il secondo è del segretario della camera del lavoro spezzina.
L’economia di guerra che si sta sviluppando sta portando, anche nella nostra città, ad uno scenario inquietante. Ordini miliardari di quel settore di un’economia miope. Tutti noi vogliamo la Pace e, come auspicabile, quando i venti di guerra cesseranno e gli ordini caleranno ci troveremo di fronte ad una monocultura industriale che collasserà.
Luca Comiti, segretario CGIL Spezia
(9 luglio 2025)
Questa riflessione, il mio impegno, lo dedico a mio figlio Tommaso, che oggi compie 6 anni. Un giorno memorabile il 14 luglio, perché non si trattò di una rivolta, ma di una rivoluzione. A lui, la mia rivoluzione e la mia ragione di vita, nella speranza che possa, come ereditammo libertà dal nonno partigiano, ricevere in dono un mondo migliore di quello in cui viviamo ora.

