
Più spesa militare, ma con calma
Il motto del governo Meloni, penso sia noto ai più, insieme ai governi di altri Paesi della NATO, è più spese militari, ma con calma. Soprattutto facendo in modo che se ne accorga meno elettorato possibile. Non tutti i governi, per inciso, viaggiano su questo mare. Tutti salvo il governo spagnolo. Il primo ministro socialista, Sanchez, che ha dichiarato apertamente di non poter andare molto al di sopra del vecchio obiettivo della NATO del 2%. Ma il governo di Giorgia Meloni sta già lavorando a modi fantasiosi per ridurre al minimo qualsiasi colpo alle sue finanze pubbliche. Voci, malignità, dicerie. Secondo l’agenzia di stampa Reuters c’è qualcosa di concreto. E val la pena appuntarlo. Almeno per chi non ha dimestichezza con la lingua di Albione…
La presidente madre italiana e cristiana, nel timore che i sondaggi d’opinione tendano a consolidare l’impopolarità dell’aumento della spesa militare, ha cercato di rassicurarli dopo il vertice della NATO.
Queste sono spese necessarie, ma ci impegniamo a non distogliere nemmeno un euro dalle altre priorità del governo.
Nel 2024 la spesa per la difesa dell’Italia è stata pari ad appena l’1,5% della produzione, vicino alla fascia bassa dei 32 membri della NATO. Quest’anno il governo ha raggiunto il precedente obiettivo del 2%, sempre secondo l’agenzia, con una serie di modifiche contabili. Il nuovo obiettivo è altra cosa. Everest.
Sulla carta si parlerebbe di un aumento della spesa di oltre 60 miliardi di euro, in un paese come l’Italia che ha il secondo debito più grande della zona euro (135% del PIL). Ma nel bel paese la classe dirigente è funzionale ad un adagio. Fatta la legge (o l’accordo NATO in questo caso), trovato l’inganno. Per esempio includendo voci già preventivate che hanno, nel migliore dei casi, un tenue legame con il comparto militare. Al netto di un particolare, ossia che lo stratagemma sia digerito dalla NATO e dalla Commissione europea. Poi c’è l’opzione infrastrutture. Porti, cantieri navali e persino un ambizioso ponte che collegherà la Sicilia alla terraferma o dighe foranee superbe.
Complessivamente, l’Italia prevede di investire 206 miliardi di euro per potenziare le sue ferrovie e altri 162 miliardi per le sue strade e autostrade, secondo uno studio parlamentare basato su dati governativi. Molti di questi progetti potrebbero ora ricevere l’etichetta di difesa e sicurezza. Direte voi, ma non è possibile. Andatelo a chiedere ai genovesi con la diga del porto. Altro indizio?
La Commissione europea ha affermato che spetta all’Italia determinare se lo scopo principale di un’infrastruttura sia militare o civile. Assist al centro. Il viceministro (ligure nonché genovese) Edoardo Rixi salta e incorna la palla:
Gran parte degli investimenti infrastrutturali previsti rientrano nei parametri della NATO perché hanno applicazioni a duplice uso. Abbiamo bisogno di reti di trasporto civile in grado di sostenere la mobilità militare. Oltre ai carri armati, ai caccia e alle navi da guerra, abbiamo bisogno di strade, ferrovie e porti.
Il nuovo obiettivo della NATO include una componente fondamentale per la spesa militare, che deve raggiungere il 3,5% del PIL entro il 2035, e un’ulteriore componente sugli investimenti più ampi legati alla sicurezza, pari all’1,5%. L’ammodernamento dei porti nelle città settentrionali di Trieste e Genova, così come un hub di costruzione e manutenzione navale alla Spezia, sarebbero idonei a soddisfare i criteri della NATO. Basi blu. Così Rixi va sotto la curva:
Se è necessario costruire, riparare e mantenere navi militari, nonché trasportare truppe e attrezzature militari, è necessario disporre di infrastrutture adeguate per farlo.
Poi c’è il fattore accennato. Il consenso. Ora se a votare va mediamente meno di un elettor* su due, gli strateghi pongono una certa attenzione a non giocarsi quello restante. Come? Ritardando qualsiasi aumento di spesa militare almeno fino a dopo le prossime elezioni, previste per il 2027. Come a dire che la vera sfida per dimostrarsi affidabili colonizzati non è l’entità della spesa, ma la tempistica. Non solo. Fonti governative affermerebbero che nel 2027 l’Italia sarebbe anche in grado di attingere pienamente alla “clausola di salvaguardia” del margine di manovra fiscale dell’UE, a condizione che il suo disavanzo sia inferiore al 3% del PIL nel 2026, come previsto.
Per questo motivo, Roma avrebbe esercitato con successo pressioni sugli alleati della NATO per evitare l’imposizione di un aumento minimo annuale della spesa militare. Il messaggio è chiaro: l’Italia farà ciò che deve per rispettare i suoi impegni con la NATO, ma lo farà a suo tempo.