
Ho visto un sogno
Ieri notte ho visto un sogno.
Sarà stato per l’afa di una lunga giornata di fine agosto, o il fastidio per la folla di crocieristi vocianti nella notte, convinti di andare alla scoperta di una cittadina mediterranea che, durante il giorno, hanno a lungo e inutilmente fotografato, senza mai davvero vederla.
Gli strilli dello struscio notturno, tra sentori di pesce fritto e il ritmo sordo diffuso da qualche strumento di amplificazione, diventano lentamente stridii di gabbiani in volo, all’alba. Le palpebre si chiudono.
Sono seduto a bordo di uno degli storici traghetti che assicurano il collegamento tra la città e i suoi borghi marinari, un mezzo a propulsione totalmente elettrica, alimentato dall’energia solare.
Osservo, come un qualsiasi turista, l’ampio golfo che ho di fronte.
Una voce femminile, discreta e gradevole, ragguaglia i pochi passeggeri circa i luoghi visibili dal ponte.
“La grande area verde, la splendida darsena, il polo scolastico e universitario che potete ammirare, sono sorti dalla ristrutturazione di un insediamento militare ottocentesco, già importante veicolo di occupazione provinciale prima di diventare, per decenni, la palla al piede della città, per gli enormi spazi inutilizzati, le aree contaminate, la gestione arrogante e autoreferenziale del potente comparto militare, la subalternità imbelle dei politici locali. Ora l’intera superficie è gestita dalle municipalità sulle quali essa insiste ed è, per statuto, “ bene comune “. I borghi che per un secolo si sono visti negare l’accesso al mare, ora ne sono i custodi“.
Il battello scivola silenzioso sull’acqua, lasciandosi dietro il vecchio arsenale, ora “Cittadella della convivenza solidale“. La brezza del mattino è fresca e piacevole.
“Ancora alla vostra destra, ma anche alle vostre spalle e lungo tutta la costa orientale della provincia, ecco le baie più profonde e suggestive, i promontori più verdi, le falesie, le isole, le spiagge e le scogliere, i fari, le antiche fortificazioni in rovina, porzioni di riserva marina e aree protette, liberate finalmente dalle cosiddette servitù militari che ne avevano fatto poligoni di tiro, eliporti, stabilimenti balneari riservati alle forze armate e ai loro dipendenti civili, discariche di residuati ferrosi, circoli ufficiali, centri di addestramento per operazioni di guerra coperte, uffici deserti, caserme dismesse, officine abbandonate, edifici interdetti alla popolazione. Tutto questo paradiso perduto è infine e per sempre a disposizione di tutti, protetto e custodito dalle municipalità popolari“.
I delfini, di tanto in in tanto, saltano nei pressi del bulbo dello scafo; giocano nella scia bianca che si apre al passaggio del battello.
Nel sogno, mi sembra di sognare.
Il battello supera un capo roccioso e davanti a me si apre uno scenario incantevole.
“Ed ora, signori, potete osservare la meravigliosa chiesa medievale, sorta su un tempio precristiano, che domina il promontorio occidentale“.
Un mormorio di ammirazione si leva dai turisti in ascolto.
“Lo spazio marino sottostante, così come ovunque nel golfo, è ora interdetto alle navi da crociera, che per anni hanno oltraggiato e degradato con la loro ingombrante presenza il paesaggio, l’aria, il mare, offrendo ai passeggeri seduti a tavola uno scenario antico e meraviglioso ridotto a sfondo cui dare uno sguardo, di tanto in tanto, durante il buffet mattutino. Anche i pullman turistici non possono più impunemente violare un territorio unico ma fragilissimo. Chi desidera godere di questa straordinaria bellezza può farlo, ma alle nostre condizioni: sobrietà, rispetto, condivisione. Gli altri possono andare altrove: per loro un posto vale l’altro“.
Osservo la linea pura dell’orizzonte e le grotte dell’isola che stiamo doppiando. La ragazza al microfono ricorda che un pericoloso tentativo di ridurne la selvaggia bellezza a beneficio di un turismo danaroso ed esclusivo è stato sventato da una fiera e compatta reazione popolare.
Ascolto Il fruscio ripetuto della vela di un gozzo.
Apro gli occhi.
La luce filtra dalle persiane insieme con il rumore del camion dei rifiuti.
Rimane intatta dietro le palpebre la dolcezza di una visione e la percezione amara della sua distanza.
Uno spazio da colmare camminando ancora e ancora, naturalmente a piedi.
Giacobbe si svegliò dal sonno e disse:
«Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo».
Genesi 28, 10-22
Morel
Questo pezzo ed altro ancora, lo troverete in Stretti in libera sorte il blog di Morel. Un grazie a Marco Cataruzza per avermelo inviato.
Immagine di copertina, tratta da LibreShot