
Se migliaia vi sembran pochi
Si, se migliaia di antifascisti, antirazzisti, pacifisti vi sembrano pochi, provate voi a guerreggiare. Nel giro di 15 giorni una piccola città, come La Spezia si è destata, colorandosi ed animandosi. Un risveglio che è ben più ampio di una piccola città ai margini della Liguria, incastrata nell’appendice lunigianese della Toscana. Non del blu di cui tanto si fa retorica, non del grigiore militarista a cui si vuole affibbiare eternamente l’etichetta preistorica. Si è colorata della passione per l’umanità, della solidarietà ai popoli oppressi, che stanno lottando contro un vero e proprio genocidio, della speranza di un orizzonte nuovo.
Restare umani è una perifrasi che ha connesso il corteo del 17 maggio, in risposta al rigurgito neofascista, razzista, xenofobo e guerrafondaio che ha tentato di scendere in piazza. La piazza, o meglio la città, è stata tutt’altro. Antifascista, accogliente, solidale, pacifica e pacifista. Eredi di una storia di lotta per la Liberazione, il volto umano ha coniugato i valori della Costituzione con le criticità che vive e che vivono in questo mondo.
Se il 17 maggio è stato un fronte ampio, in cui l’antifascismo era (fortunatamente) un collante assai potente. La vera sfida, politica, è stata sabato 31 maggio. Sfida è un termine fuorviante. L’iniziativa, promossa da Freedom Flotilla La Spezia Massa Carrara e sostenuta da tante associazioni e movimenti, non aveva la velleità di misurarsi, ma il coraggio di aprire uno squarcio su una tragedia, una presa di coscienza su ciò che accade nel nostro mondo e l’ambizione di prendere altrettanta coscienza su quale ruolo abbiano i nostri territori nelle tragedie che si consumano, sui nostri teleschermi. Piazza Brin è iniziata a brulicare. Poi, oltre duemila persone hanno sfilato per le vie del centro della Spezia, da Corso Cavour, Via del Prione, Piazza Sant’Agostino, Piazza Verdi, fino a concludere il corteo in Piazza Chiodo. Per un semplice motivo, rendere partecipe una città di un genocidio e rendere consapevoli delle nostre responsabilità.
Diceva quel tale che seppur ci sentiamo assolti siamo lo stesso coinvolti. Nulla di più vero in una città che, “orgogliosamente”, fonda le sue radici negli strumenti di una guerra che, la Costituzione repubblicana, ripudia, non prende in considerazione, ripudia come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Eppure dai nostri moli partono missioni che usano lo strumento militare, con regole di ingaggio che si autogiustificano. Dalle nostre fabbriche escono torrette e cannoni montati su unità navali che sparano su popoli. Dai luoghi di lavoro, che furono deputati al servizio della difesa del paese, si organizzano fiere dove si vende al miglior offerente, armi e strumenti di guerra. Nelle nostre basi dove addestriamo chi si macchia di un genocidio. Oppure dai moli che ampliamo per fornire maggior carburante agli aerei pronti ad esportare democrazia.
Di fronte alla tragedia del popolo palestinese non dobbiamo voltare le spalle. Non per una questione etica, morale, ma semplicemente umana. Perché in ogni luogo del pianeta, chi è umano è anche palestinese. Quindi occorre la consapevolezza delle nostre responsabilità. Il 31 maggio segna uno spartiacque, non solo alla Spezia. Uno spartiacque che è cresciuto nei presidi per la Pace, nelle finestre che gridano un dissenso sacrosanto, prontamente criminalizzate. Un filo che si lega alle lotte sarde contro la nocività militarista, alle istanze pisane contro la militarizzazione di aree protette, alle rivendicazioni siciliane contro una piazzaforte nel mediterraneo, e via via in tutto lo stivale.
Il tentativo dei vigili urbani di rimuovermi l’auto non mi ha impedito di fare quel che mi era stato chiesto. Ribadire quale sia il ruolo dei nostri territori nelle tragedie di popoli a cui va tutta la nostra solidarietà e la nostra vicinanza. Fermare i genocidi, significa in primo luogo metterci in discussione. Lungo via Chiodo, la statua del generale che costruì l’Arsenale della Marina militare si avvicinava. Oltre quel muro, 50 anni fa, lavoravano oltre 12.000 dipendenti. Oggi meno di 300. Oggi, di fronte all’abbandono di un’area immensa il lascito sono veleni, inquinamento, nocività. Basta. Quell’area va messa in discussione e la città deve demilitarizzare ciò che è abbandonato.
Quale sia il legame tra la militarizzazione dei nostri territori e le tragedie palestinesi (e non solo) è ormai sotto gli occhi di tutt*. Un governo che finanzia 1,7 miliardi di euro per adeguare le basi italiane agli standard NATO, va messo in discussione. Alla Spezia, il tentativo di dipingere la base di blu costerà alle tasche dei contribuenti, 354 milioni di euro. Non un euro in bonifiche nei siti inquinati, nessuno spesa per riconvertire aree abbandonate. 354 milioni per agevolare le attività di “tutela dell’interessa nazionale” ma soprattutto per consentire alle unità NATO un’interconnessione più semplice ed un’operatività più tempestiva.
Quel fiume in piena che è scorso per le vie della Spezia induce molte riflessioni. Banalmente che la pace, la demilitarizzazione della società e dei territori, sono temi che legano non solo il tessuto sociale di una piccola città ma tante realtà che vivono problematiche simili. In altre parole è una questione nazionale, che va dalle Alpi alla Sicilia, dalla punta del tacco a Tarvisio. Stimola a riflettere che la cittadinanza, almeno quella che si rivede in valori costituzionali come pace, uguaglianza, solidarietà sociale, è ben più consapevole di una certa classe dirigente, timida, talvolta insipiente, spesso afona ed inconcludente, immersa nei calcoli elettorali, ma lontana da un sentimento che si sta radicando. Una bella sveglia, per chi la vuol sentire. Un’altra ancora, che questo fiume ha iniziato a scorrere.
Le lotte si uniscono, si intersecano. Contiamoci, teniamoci stretti, prepariamoci, la strada è in salita, va trovato il passo.
PS: Domenico Chiodo, impunemente, per poche ore ha raccolto un grido di una borgata senza mare, accogliendo una folla in pace. Con la sua spada nel fodero ed i suoi baffoni ottocenteschi pareva quasi chiedesse scusa, per ciò che ha partorito. Quel grido non è solo di una borgata, non solo di una città che non si volta dall’altra parte. E’ il grido umano. Buona festa della Repubblica!
Riflessioni come questa arrivano al cuore.
Poi, fuori c’è una folla indistinta di persone impegnate a soddisfare loro bisogni, ambizioni e piaceri personali. L’individualismo ormai domina ogni comportamento.
Anche il golfo più bello del mondo (detto da chi come me ha visto porti e porti nei due emisferi) per inorridire alla vista di cosa ne fosse stato fatto di quel gioiello unico della baia di Santa Teresa, deserta e naturale, dove un bimbo, insuperabile nel falsificare la firma del papà, e a cui riuscì di rimettere in sesto una vecchia bicicletta di una zia, bigiando le elementari, si rifugiava e, posta che fosse la merenda e frutto, al riparo offerto dal grande masso rettangolare, e staccate dagli scogli, fresche esche, si affacciava a bocconi dal consunto muretto, per insidiare le povere “babeche”, anche se pesciolini immangiabili.
Alberto ti ringrazio per questo messaggio, che davvero tocca il cuore per … restare umani. Un caro saluto