Oltre il 25 aprile, c'è il 17 maggio
Antifascismo Opinioni
William Domenichini  

Oltre il 25 aprile c’è il 17 maggio

Se non ce ne fossimo resi conto, dopo le celebrazioni e le manifestazione per difendere la Costituzione il 25 aprile, c’è il 17 maggio. Parafrasando quel tale, non c’è da gioire, né da piangere, ma da comprendere

Il tentativo di Casapound, alla Spezia, si è rivelato ben al di sotto delle più funeree aspettative. Una chiamata nazionale per lanciare il grido d’allarme e l’urgenza del popolo italiano. Abolire il 25 aprile, spendere soldi per armarci fino ai denti, deportare i migranti. Un messaggio che vomita suprematismo razziale in ogni dove e che ignora, volutamente, lo stato della sanità, della scuola, delle condizioni delle/i lavorator*, le guerre.

25 aprile, guerra, riarmo e deportazione sono tutti sani principi ancorati nel dettato costituzionale, dove, evidentemente non si menziona mai antifascismo. Ma anche un analfabeta riconoscerebbe, ascoltandoli, che da tutti i suoi articoli gronda come il sangue versato da partigiane e partigiani, che hanno scelto. Cosa? La parte avversa che sbandiera Casapound, a cui resta di sbandierare l’art.21 della Costituzione, ignorando i venti che li precede e sputando sui centodiciotto successivi.

Mutatis mutandi, a ricordare queste brevi considerazioni si è mobilitata una parte di popolo spezzino. E non solo. Il terreno dell’antifascismo è stato un collante efficace per forze politiche che, generalmente, passano più tempo a guardare il proprio ombelico. Anche se la “retorica” antifascista ha funzionato, occorre che s’impegnino sui problemi concreti e sull’elaborazioni di idee forza per la loro risoluzione. Tutti presenti, da chi (almeno in parte) vota le risoluzioni della Von der Leyen per riarmarci a chi le contesta. Da chi equipara comunismo e nazismo tanto al chilo senza nessun ritegno storico, a chi sussurra gli echi di un altro mondo possibile, con tutte le sfumature (e le contraddizioni) nel mezzo. Oppure chi fa parte dell’organizzazione dei SeaFuture ed è, presumibilmente per tradizione e consuetudine, antifascista. E’ un segnale positivo, c’è un terreno su cui confrontarsi, come le idee di città e le visioni del mondo. Ad maiora.

Messa da parte la rappresentanza politica, che va sottolineato, non convince un elettore su due ad andare a votare, occorre riflettere. Al netto dei comunicati entusiastici, le migliaia di persone presenti hanno raccolto qualcosa. Se volessimo ridurre ai minimi termini la manifestazione, cosa assai complicata e con rischi fuorvianti, va presa in seria considerazione la componente che ha abbassata pericolosamente l’età media. Le/i tant* giovan* antifascist* presenti sono un segnale per i partiti dei pensionati, almeno fino alla prossima manifestazione indetta da Casapound. Un serpeggiante e chiarissimo messaggio, che è partito dalle anime più dinamiche, più giovani e, vivaiddio più radicali del corteo, si è diffuso come un gas benefico. Possiamo sintetizzarla? Ci ha pensato un artivista ed il collettivo DadaBoom: Demilitarizziamo La Spezia, Demilitarizziamo il mondo!

In altre parole c’è chi non è sceso in piazza solo per la presenza di Casapound, cosa necessaria, ma evidentemente miope e non sufficiente. Ma ha risposto al messaggio razzista e guerrafondaio chiedendo un cambio di rotta. Radicale? Settario? Illusorio? Utopistico? Probabilmente molti di questi aggettivi avrebbero anche un sostegno, nella logica del rispondere trasversalmente ai poteri che gestiscono le nostre vite, piuttosto che organizzare il malessere e le paure sociali. In realtà La Spezia rappresenta pienamente quanto la necessità di Pace, di un’economia compatibile con l’uomo e con l’ambiente, una società inclusiva e solidale, siano elementi prioritari rispetto agli sproloqui sui rischi di un’invasione dei cosacchi a piazza Navona.

Oltre il 25 aprile c’è il 17 maggio. 354 milioni per basi blu, centinaia di migliaia di euro buttati per rattoppare un’area militare deserta di lavoro, l’assenza di un piano industriale vero e l’annuncio costante di fantasiose trasformazioni, salvo poi aprire le porte a privati che scaricano i costi sulla collettività per rapinare i loro profitti. Come accade, per esempio, con SeaFuture. Il quadro delle aree militare, i miei piccoli lettori, lo conoscono fin troppo bene. Quell’urlo alla Munch è sceso in piazza. Industrie belliche che un tempo erano di servizio alla difesa, che oggi fanno profitti miliardari vendendo armi a paesi in guerra, fornendo e coadiuvando autori di genocidi. Per qualcuno una macabra sintesi fuorviante, tuttavia una realtà che confligge con il diritto al lavoro e sulla quale occorrerebbe l’apertura di una fase di analisi e di elaborazione senza precedenti, ma che tarda a manifestarsi.

Nelle riflessioni non può mancare un elemento, che ci riporta all’inizio della nostra storia. Autorizzare un corteo fascista, razzista e guerrafondaio, che politicamente nega la costituzionalità della libertà di espressione in essere. Di cosa sto parlando? Ma del sindaco Peracchini. La sceneggiata di porsi alla testa del corteo antifascista, dopo aver partecipato al Comitato per l’ordine e la sicurezza (Comune, Questura e Prefettura) che ha autorizza la manifestazione neofascista, suona in vari modi. Ipocrita? Arrivista? Meschino? A voi la scelta. Certamente vedere alla testa il gonfalone del comune ha un significato, ma bearsene senza valutare chi lo porta e perché sarebbe, nel migliore dei casi, superficiale.

Scatta anche la giustificazione. Il sindaco Peracchini avrebbe potuto impedirlo? Lascio questa risposta ai notabili che conoscono le cavillosità burocratiche. Quello che avrebbe dovuto fare un sindaco sinceramente democratico e costituzionale sarebbe stato semplice. Chiedere alla propria maggioranza il mandato politico di negare la manifestazione neofascista, portarla dal prefetto e dal questore e dichiarare che il comune non tollera. Invece, il consiglio comunale della Spezia, il 28 aprile, ho respinto l’urgenza di discutere della questione. Prima dell’abbandono dell’aula da parte della minoranza, il sindaco ha tenuto a sottolineare che non si sottrae alle sue responsabilità e che il giorno dopo avrebbe chiarito sul giornale la situazione. Sul giornale, di atti non se n’è visti. tuttavia c’è chi si accontenta di far accapigliare il centrodestra. Poca cosa. La questione primaria avere chiarezza sul fronte antifascista.

La sceneggiata politica è solo la punta dell’iceberg. L’autorizzazione di due cortei, i neofascisti e gli antifascisti, pressoché paralleli in una città così aggrovigliata come La Spezia è stata una scelta davvero sconcertante. Un’imponente spiegamento di forze dell’ordine ha militarizzato la città per applicare l’art.21 della Costituzione a chi nega tutto il resto. L’invasione nera si è palesata nella sua pochezza e nella frustrazione che chi beneficiò dei loro voti (Peracchini?), oggi, seppur non abbia mosso un dito per impedirne la parata, li snobba. Tanti accenti romani, per pochi gatti spezzini, costretti a sfilare in un centro sotto assedio poliziesco ed abbandonato, salvo finestre che han fatto parlare di loro parlando, e non hanno taciuto nemmeno questa volta. Barriere, furgoni blindati e tanti straordinari pagati per consentire al sindaco Peracchini di sfilare con gli antifascisti ed al suo cartonato di aprire il corteo di quattro gatti neofascisti. Chapeau

Oltre il 25 aprile c’è il 17 maggio. Ma ci sarà anche il 31. Il corteo antifascista del 17 maggio ha portato alla luce dei messaggi precisi, che sono stati colti da gran parte dei partecipanti. Che alla Spezia la presenza militare, nelle sue varie espressioni, sia un elemento discutibile è una questione che va discussa. La grande questione è se l’ha colta la cosiddetta classe dirigente politica. Il 31 maggio prossimo, La Spezia sarà punto di ritrovo per rendere concreto l’appello lanciato da Freedom Flottilla La Spezia e Massa Carrara a dicembre. Una manifestazione per “restare umani”, contro il genocidio in Palestina. Una manifestazione che alla Spezia dovrebbe essere accolta con grande affetto e partecipazione, domandandoci come e quanto sia coinvolto questo territorio nelle guerre per procura che si combattono altrove.

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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